Mi capita di andare per caseabbandonate, alla ricerca di scorci che possano rilevare l’antica presenza di chi le aveva vissute. Così m’imbatto in una sedia, in una scarpa, in qualche suppellettile o utensile che mi suggerisce ipotesi della sua utilità remota, altre volte m’intrattengo a guardare il cielo attraverso ciò che rimane dei tetti, o la luce che attraverso finestre divelte, si proietta su quel che resta, per renderlo straordinario; così inquadro e scatto, impossessandomi per sempre di quel che vedo, fotografandolo.
Dopo lo sviluppo, sulla lastra intraprendo metamorfosi e sul chiaro scuro imprimo colori e segni, guardando le tinte che uso non per come le vedo, ma per quello che alchemici passaggi le faranno diventare, per restituirmi immagini colorate.
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